Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS)
Virus dell'AIDS
Il virus dell'immunodeficienza umana (HIV), che si trasmette sessualmente o per contatto con sangue infetto, si insedia nei linfociti T-4 danneggiando il sistema immunitario. Ne risulta un'incapacità dell'organismo di difendersi da qualunque infezione virale, batterica, o da qualunque altro microrganismo. I sintomi sono perdita di peso, complicazioni neurologiche e deperimento generale e possono manifestarsi anche dopo diversi anni dal contagio. La principale causa del decesso dei malati di AIDS è la polmonite, ma è alta anche l'incidenza di alcune forme di cancro.
Malattia infettiva, causata dall'infezione di cellule umane da parte del virus HIV (Human Immunodeficiency Virus). La patologia provoca in particolare la distruzione di alcune cellule del sistema immunitario, chiamate linfociti T, nonché la perdita delle loro funzioni; i soggetti infetti da HIV diventano, così, vulnerabili a un insieme di affezioni, come polmonite, infezioni micotiche e altre malattie, che nel loro complesso costituiscono la sindrome clinica caratteristica dell'AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome). Una di queste affezioni, di solito un'infezione opportunistica o una forma di cancro, è responsabile della morte che in quasi tutti i casi costituisce l'esito infausto della malattia. I meccanismi con cui l'HIV causa immunodeficienza non sono ancora stati completamente chiariti dalle ricerche biomediche e in genere per sviluppare l'AIDS sono necessari da sei a dieci anni dal momento dell'infezione.
I primi casi di AIDS furono osservati all'inizio degli anni Ottanta: si trattava di decessi di maschi omosessuali, peraltro sani, a causa di infezioni opportunistiche, in precedenza osservate soprattutto in trapiantati sottoposti a terapie immunosoppressive. Nel 1983 Luc Montaigner e altri scienziati dell'Istituto Pasteur di Parigi isolarono, dal linfonodo di un uomo a rischio di sviluppare l'AIDS, quello che sembrava essere un nuovo retrovirus umano. Poco tempo dopo, sia il gruppo di Robert Gallo al National Cancer Institute di Bethesda, nel Maryland, sia il gruppo guidato da Jay Levy all'università della California a San Francisco, isolarono un retrovirus da persone infette dal virus e da pazienti con AIDS. Tutti e tre i gruppi avevano isolato quello che oggi è noto come HIV, l'agente eziologico dell'AIDS.
Individuazione e diagnosi
In seguito all'identificazione dell'HIV e allo sviluppo da parte del gruppo di Robert Gallo di un protocollo per far crescere il
virus in laboratorio, fu possibile sviluppare il primo metodo diagnostico di rilevamento della presenza del virus nell'organismo ospite. I test in uso attualmente, grazie a sofisticate tecniche di ingegneria genetica, sono più specifici e rilevano la presenza nel siero anche di piccole quantità di anticorpi diretti contro l'HIV, i quali indicano che il soggetto è stato esposto al virus. I test vengono in genere effettuati, su campioni di sangue, nei centri trasfusionali e in altri laboratori, pubblici o privati.Attualmente si conoscono almeno due ceppi virali, responsabili dell'AIDS, l'HIV-1 e l'HIV-2, per il rilevamento dei quali è stato necessario sviluppare test sierologici diversi. Questi due virus, infatti, pur essendo strettamente imparentati e causando la stessa malattia, mostrano differenze in alcune componenti proteiche, importanti a livello diagnostico; se in futuro verranno scoperti nuovi ceppi di HIV, sarà necessario tenerne conto nello sviluppo di nuovi test. Per un breve periodo dopo l'esposizione all'HIV (di solito da quattro a otto settimane), il soggetto risulta negativo ai test sierologici, poiché la risposta immunitaria non ha avuto tempo a sufficienza per produrre anticorpi contro l'HIV. In questa fase, altri metodi che rilevano la presenza di alcune componenti del virus stesso (e non solo gli anticorpi sviluppati dall'organismo contro di esso) possono essere utilizzati nella determinazione della presenza di HIV all'interno dell'organismo.
Essere sieropositivo non significa necessariamente avere l'AIDS. È possibile, infatti, restare sieropositivi per un lungo periodo, anche superiore a dieci anni, senza sviluppare la malattia clinica che definisce e costituisce una diagnosi di AIDS. Pertanto i centri di cura e di prevenzione della malattia, sotto la supervisione dell'
Organizzazione mondiale della sanità (OMS), hanno fissato una definizione ufficiale per la diagnosi dell'AIDS: in un individuo sieropositivo la conta dei linfociti T-CD4 deve essere inferiore a 200 cellule per mm3 di sangue oppure vi deve essere l'esordio clinico di un'infezione opportunistica tipica dell'AIDS, come la polmonite da Pneumocystis carinii, la candidosi orale, la tubercolosi polmonare o il carcinoma cervicale invasivo. Fino a oggi, 25 malattie sono state descritte come caratteristiche dell'AIDS.Natura della malattia
Progressione clinica dell'AIDS
Perché un soggetto passi dall'infezione da HIV alle malattie cliniche che definiscono l'AIDS possono trascorrere da sei a dieci anni o più. Tale progressione può essere seguita utilizzando "marcatori di sostituzione", dati di laboratorio correlati al progredire della malattia, o "endpoint clinici" di patologie associate con lo stadio avanzato della malattia. I marcatori di sostituzione per i vari stadi della malattia da HIV comprendono, tra gli altri, la perdita progressiva dei linfociti T-CD4: in generale, più è basso il numero dei linfociti T-CD4 e più è avanzato lo stato di immunosoppressione. Un altro marcatore di sostituzione è la quantità di HIV circolante nel sangue: usando nuove e più sensibili tecniche di rilevamento, le quantità di HIV nel sangue possono essere correlate, oltre che allo stadio clinico della malattia, anche alla risposta alle terapie antivirali sperimentali.
La risposta immunitaria al virus, ovvero la capacità di produrre anticorpi contro le proteine dell'HIV da parte di un individuo infetto, può essere anch'essa utilizzata per determinare lo stadio di progressione dell'AIDS; questo marcatore è, tuttavia, meno preciso negli stadi più avanzati, a causa della perdita generale della funzione immunitaria.
Generalmente nei sieropositivi si verifica una progressione ben definita della malattia. Entro una-tre settimane dall'infezione con l'HIV quasi tutti i soggetti provano sintomi aspecifici, simili a quelli di un'influenza (febbre, cefalea, eruzioni cutanee, linfadenopatie e malessere), che durano all'incirca una-due settimane. In questa fase, denominata sindrome retrovirale acuta, l'HIV si riproduce in grandi quantità, circola nel sangue e determina infezioni in tutto l'organismo, soprattutto nei linfonodi. Il numero dei linfociti T-CD4 diminuisce, per poi tornare a livelli quasi normali quando il sistema immunitario inizia a rispondere all'infezione e a limitare la moltiplicazione e la diffusione dell'HIV. I soggetti entrano poi in una prolungata fase asintomatica, che può durare anche più di dieci anni. In questo periodo gli individui infetti godono generalmente di salute normale, con livelli di linfociti T-CD4 ai limiti inferiori della norma (500-750 cellule per
mm3).Diversamente da ciò che gli scienziati credevano fino a poco tempo fa, anche in questa fase l'HIV continua a moltiplicarsi intensamente; la sua concentrazione rimane, tuttavia, relativamente bassa, poiché le cellule del sistema immunitario conducono un'intensa lotta contro le particelle virali, uccidendone una grande quantità. In seguito a questa lunga battaglia, che può durare anche dieci anni o più, il sistema immunitario della persona infetta si deteriora gradualmente, fino a esaurire completamente le proprie risorse.
A questo punto i pazienti entrano nella cosiddetta fase sintomatica precoce: essa può durare da pochi mesi a molti anni ed è caratterizzata dalla rapida diminuzione dei livelli dei linfociti T-CD4 (200-500 cellule per
mm3) e da infezioni opportunistiche, che tuttavia non minacciano la vita del malato. Quando la compromissione del sistema immunitario raggiunge un punto critico, si presentano le gravi malattie che caratterizzano la fase sintomatica tardiva.Anche quest'ultima fase può durare da pochi mesi a diversi anni e i pazienti possono presentare livelli di linfociti T-CD4 inferiori a 200, insieme ad alcune infezioni opportunistiche tipiche dell'AIDS. Nella gran parte dei pazienti giunti a questo stadio si osserva deperimento fisico, accompagnato da perdita progressiva di peso e da mancanza di energia. Alla fine i pazienti entrano nella fase di AIDS avanzato, durante la quale il numero dei linfociti T-CD4 è inferiore a 50. La morte avviene nel giro di uno o due anni, a causa di un tumore o di gravi infezioni opportunistiche.
Malattie opportunistiche
Com'è stato detto, il decesso per AIDS non è generalmente dovuto direttamente all'infezione da HIV, ma alle infezioni opportunistiche causate dalla distruzione del sistema immunitario provocata dal virus. Queste infezioni insorgono, infatti, quando il sistema immunitario non riesce più a proteggere l'organismo contro gli agenti presenti normalmente nell'ambiente. La comparsa di una qualunque delle venticinque infezioni opportunistiche, dette "malattie tipiche dell'AIDS", costituisce la diagnosi clinica dell'AIDS nei soggetti sieropositivi.
L'infezione opportunistica più comune nell'AIDS è la polmonite da Pneumocystis carinii, causata da un microrganismo che normalmente colonizza in modo innocuo le vie respiratorie di tutti gli esseri umani. Anche la polmonite batterica (causata da diversi tipi di batteri fra cui
Streptococcus e Haemophilus) e la tubercolosi (infezione respiratoria batterica causata da Mycobacterium tuberculosis) sono spesso associate all'AIDS. Nell'ultimo stadio, infezioni diffuse da Mycobacterium avium possono causare febbre, perdita di peso, anemia e diarrea. Altre infezioni batteriche dell'apparato gastrointestinale (dovute a Salmonella, Campylobacter, Shigella o altri batteri) provocano spesso diarrea, perdita di peso, anoressia e febbre. Nei pazienti con AIDS si osservano frequentemente micosi o infezioni da funghi. Il mughetto o candidosi orale (infezione della bocca da Candida albicans) si presenta precocemente nella fase sintomatica in un alto numero di pazienti.Altre micosi sono le infezioni da varie specie di Cryptococcus, importante causa di
meningite che colpisce il 13% dei pazienti affetti da AIDS. Inoltre, vi può essere diffusa istoplasmosi, dovuta al fungo Histoplasma capsulatum, che colpisce fino al 10% dei pazienti, provocando perdita di peso, febbre e complicazioni respiratorie o, se l'infezione raggiunge il cervello, complicanze gravi del sistema nervoso centrale, fra cui alcune forme di demenza.Le infezioni opportunistiche virali, causate soprattutto da membri della famiglia degli
Herpes virus, sono comuni fra i pazienti con AIDS. Uno di questi è il Cytomegalovirus (CMV), che colpisce la retina e può causare cecità. Un altro membro della famiglia è il virus di Epstein-Barr (EBV), che può provocare una trasformazione cancerosa delle cellule del sangue. Sono inoltre comuni le infezioni da virus Herpes simplex (HSV) di tipo 1 e 2, che causano lesioni orali e perianali progressive. Molti pazienti con AIDS sviluppano vari tipi di cancro, il più comune dei quali è il sarcoma di Kaposi, una neoplasia dei vasi sanguigni che provoca lesioni cutanee purpuree, estendendosi agli organi interni e provocando la morte del paziente.Cause dell'AIDS
Virus dell'immunodeficienza (HIV)
L'agente eziologico riconosciuto dell'AIDS è l'HIV. Si tratta di un retrovirus umano, costituito da una capsula lipoproteica, all'interno della quale viene conservato il materiale genetico virale. Sulla capsula lipoproteica, che viene prodotta a spese della
cellula ospite, sono presenti numerose molecole, tra le quali una glicoproteina chiamata gp120, che riconosce specificamente la molecola CD4, un'importante proteina del sistema immunitario, localizzata sulla superficie dei linfociti T. L'interazione tra gp120 e CD4 consente all'HIV di penetrare all'interno di un linfocita T e di moltiplicarsi in tale cellula, fino a causarne la morte.Qualunque cellula umana che esprime sulla propria superficie la molecola CD4 è un potenziale bersaglio dell'infezione da HIV. Tuttavia, nell'AIDS le cellule più colpite sono quelle di una classe di globuli bianchi, chiamati linfociti T helper o linfociti T-CD4, poiché tali cellule esprimono alti livelli della molecola CD4. Oltre alle cellule direttamente infettate dal virus, l'AIDS danneggia e uccide anche i linfociti T helper non infetti, con mezzi diversi dall'infezione virale, che finora non sono stati ancora completamente chiariti dalla ricerca. Nel sistema immunitario non colpito dall'HIV i linfociti T-CD4 rivestono un ruolo fondamentale, in quanto aiutano le altre cellule coinvolte nella risposta immunitaria a reagire agli invasori. Pertanto, man mano che i linfociti T-CD4 vengono persi nel corso dell'infezione da HIV, le risposte immunitarie dell'organismo diventano gradualmente sempre più inefficienti, consentendo l'insorgenza delle infezioni opportunistiche e del cancro che caratterizzano il quadro clinico dell'AIDS.
Sebbene la maggior parte degli studiosi sia concorde sul fatto che l'HIV è il virus che causa l'AIDS e che la moltiplicazione dell'HIV può uccidere direttamente i linfociti T, le notevoli variazioni che si osservano fra i pazienti nella progressione della patologia hanno spinto alcuni a suggerire che anche altri fattori, di natura ancora incerta, potrebbero esercitare un'influenza sul decorso della malattia. Ciononostante, tutti sono d'accordo sul fatto che per lo sviluppo dell'AIDS è necessaria la presenza dell'HIV.
Modalità di trasmissione
L'HIV si diffonde per contatto sessuale con una persona infetta e per questa via sembra avvenire la maggior parte dei casi di contagio. Presente nelle secrezioni sessuali di uomini e donne, l'HIV accede alla circolazione sanguigna del partner non infetto attraverso piccole abrasioni che si verificano durante il rapporto sessuale. L'HIV si diffonde anche tramite la condivisione di aghi o siringhe, cosa che avviene soprattutto tra chi fa uso di droghe iniettabili, in quanto si verifica l'esposizione diretta al sangue di un individuo infetto. La trasmissione dell'HIV attraverso trasfusioni sanguigne o per assunzione di emoderivati è oggi molto rara (meno di un caso su 100.000), grazie ai test che vengono ormai fatti di routine su tutti i campioni di sangue. L'HIV può, inoltre, essere trasmesso dalle madri infette (al momento del parto o durante l'allattamento al seno), anche se solo il 30% dei bambini nati da madri sieropositive viene contagiato.
Nonostante si possa essere quasi del tutto certi che le vie di trasmissione dell'HIV sono solo quelle descritte, si continua a temere che esistano altre possibilità di contagio. Non vi è, tuttavia, alcuna prova scientifica che l'HIV possa essere trasmesso attraverso l'aria, le punture di insetti oppure tramite il bacio. Questo è dovuto anche al fatto che l'HIV è un virus che non sopravvive a lungo quando viene esposto all'ambiente. In ogni caso, vanno accuratamente evitate tutte le pratiche che aumentano la probabilità di un contatto con il sangue di altre persone potenzialmente infette, come la condivisione di spazzolini da denti o di rasoi.
Un altro timore, diffuso nella popolazione, è quello della trasmissione dell'HIV da parte di operatori sanitari sieropositivi: questo timore nasce da un caso, peraltro isolato, di contagio da parte di un dentista di alcuni suoi pazienti. In generale gli operatori sanitari, infetti e non infetti, adottano tutte le precauzioni necessarie a proteggere i propri pazienti, nonché se stessi, dalla trasmissione di numerose, gravi malattie, tra cui l'AIDS. Non vi è alcun pericolo d'infezione con HIV nel corso delle donazioni di sangue.
Ricerche e terapie
Per la messa a punto di preparati antivirali efficaci contro l'HIV, gli scienziati hanno cercato di individuare i punti deboli presenti nel ciclo di duplicazione del virus. Uno di questi è, ad esempio, la necessità da parte dell'HIV, una volta penetrato all'interno della cellula ospite, di andare incontro alla cosiddetta trascrizione inversa, che consiste nella conversione, tipica dei retrovirus, dell'RNA del genoma virale in DNA (vedi
Acidi nucleici). Questo processo viene catalizzato da un enzima virale, chiamato trascrittasi inversa, che è assente nelle cellule ospiti. Pertanto, una delle due grandi famiglie di farmaci diretti contro l'HIV è quella degli inibitori di questo enzima. Tra questi vi sono la zidovudina o AZT, la ddI, la ddC e la 3TC. Questi composti vengono inseriti dalla trascrittasi inversa nella catena in formazione del DNA, che diventa così totalmente inutilizzabile per la sintesi delle proteine e per il successo riproduttivo del virus.Nessuno di questi composti è, tuttavia, mai stato considerato come una cura dell'infezione da HIV, a causa dei numerosi effetti collaterali. Infatti, nonostante la loro azione sia specifica per l'enzima virale, essi rischiano di interferire con il processo di duplicazione del DNA cellulare, provocando effetti di intossicazione, specialmente nelle cellule in rapida divisione come quelle del midollo osseo. Un altro problema legato all'uso di questi farmaci è la comparsa di ceppi virali resistenti nell'organismo dei pazienti trattati con questi composti. Generalmente, l'impiego di questi diversi medicamenti in modo alternato o combinato può ritardare la comparsa dei ceppi resistenti, ridurre la tossicità e migliorare la sopravvivenza dei pazienti.
Un secondo punto debole del ciclo vitale dell'HIV è un enzima ad azione proteolitica, o proteasi, che taglia le proteine virali inattive in frammenti dotati di attività necessaria alla sopravvivenza e alla moltiplicazione del virus. Una nuova classe di farmaci è, pertanto, quella degli inibitori delle proteasi, che impediscono a questo enzima di svolgere la propria funzione. Questi composti sono oggi in fase di sperimentazione clinica e sembrano dare risultati incoraggianti, specialmente in associazione ad altri composti antivirali. Neppure questi farmaci sono, tuttavia, esenti da effetti collaterali dolorosi e dalla comparsa di ceppi resistenti del virus.
In base ad alcuni recenti progressi compiuti dalla ricerca di base e ad alcuni test clinici, sembra che la somministrazione di AZT in associazione agli inibitori delle proteasi in varie combinazioni, a partire dalle prime settimane di infezione, dia risultati molto incoraggianti, dal momento che nelle persone, sottoposte a questa terapia da più di un anno, non si riscontra più alcuna traccia del virus. Questo trattamento, sviluppato e sperimentato dal gruppo di David Ho dell'Aaron Diamond AIDS Research Center di New York, sembra essere il primo approccio in grado di dare qualche speranza di possibile guarigione ai malati di AIDS. Visti gli insuccessi del passato è, tuttavia, necessario esercitare molta cautela nella valutazione di questa nuova terapia, che, peraltro, è estremamente costosa (circa 20.000 dollari all'anno per paziente), comporta pesanti effetti collaterali ed esercita la sua efficacia solo nelle prime settimane di infezione, quando la maggior parte degli individui infetti non è ancora conscia della propria condizione.
Altri trattamenti cercano di bloccare i processi cellulari dell'ospite, indispensabili all'HIV per la propria duplicazione. Uno dei principali vantaggi di questo approccio è la riduzione del rischio della comparsa di ceppi resistenti, dal momento che esso esercita una bassa pressione selettiva nei confronti del virus; il problema della tossicità rimane invece, anche in questo caso, irrisolto.
La
terapia genica è stata utilizzata per cercare di inibire l'espressione dell'HIV, introducendo nei linfociti un gene estraneo che interferisce con le proteine regolatrici virali (proteine fabbricate dall'HIV per regolare la propria espressione). In altri approcci sperimentali, con la terapia genica è stato possibile introdurre nei linfociti un gene in grado di bloccare l'infezione da parte dell'HIV. Se fosse possibile inserire questo gene nelle cellule staminali del midollo osseo (le cellule che si dividono continuamente, dando origine, tra le altre, a tutte le cellule mature del sistema immunitario), tutti i linfociti originatisi da tali cellule sarebbero dotati di una protezione nei confronti del virus. Benché questi trattamenti possano sembrare ancora fantascientifici, alcune sperimentazioni cliniche che determineranno l'efficacia della terapia genica nella lotta contro l'AIDS sono già in corso. Inoltre, sono stati avviati studi per la messa a punto di un vaccino che possa esercitare un'azione sia preventiva (in grado di proteggere le persone immunizzate in caso di contatto con il virus), sia curativa (prolungando la vita o diminuendo la distruzione del sistema immunitario delle persone già infette). Una trentina di vaccini sono oggi in fase di sperimentazione clinica negli ospedali di tutto il mondo. L'OMS sta attualmente sostenendo la sperimentazione su larga scala di un vaccino protettivo nelle regioni del mondo dove il tasso di infezione sta iniziando ad aumentare, come la Svezia, la Thailandia e il Brasile.Ciascuna nuova terapia antivirale comporta un'estesa valutazione della sua sicurezza e della sua efficacia e oggi sono sempre più numerosi i malati disposti a correre i rischi connessi alla sperimentazione, nella speranza che i farmaci testati si rivelino efficaci contro la progressione dell'AIDS.
L'impiego di medicamenti contro le infezioni opportunistiche associate all'AIDS si è tradotto in un reale beneficio clinico, prolungando la vita di numerosi pazienti. Ad esempio, i farmaci utilizzati di recente nella profilassi e nella terapia della polmonite causata da Pneumocystis carinii hanno fortemente contribuito alla diminuzione dell'incidenza di questa infezione e del gran numero di decessi che essa provocava tra i malati di AIDS. Altri esempi sono i composti antimicotici, come l'amfotericina B e il fluconazolo, e un farmaco contro il Cytomegalovirus, costituito da una miscela di ganciclovir e di altre sostanze.
Dal momento che gran parte di questi trattamenti deve essere somministrata sotto controllo medico e per un lungo periodo di tempo, nel tentativo di ridurre i costi correlati al ricovero ospedaliero dei malati si stanno diffondendo sistemi di cura e di assistenza domiciliare. I servizi sociali forniti da strutture sanitarie pubbliche e da associazioni di volontariato cercano, inoltre, di fornire ai malati di AIDS un sostegno morale e materiale durante il decorso della malattia.
Diffusione
Secondo alcune stime, oggi nel mondo vi sarebbero circa 20 milioni di individui sieropositivi, dei quali più di un terzo nei paesi sottosviluppati. L'epidemiologia dell'AIDS è in evoluzione. Originariamente, in Italia l'infezione da HIV era essenzialmente confinata tra individui omosessuali maschi (a causa di rapporti sessuali non protetti). Successivamente l'infezione ha cominciato ad apparire tra le persone che facevano uso di droghe per via endovenosa. Per quanto riguarda il contagio in rapporti eterosessuali, esso è rapidamente aumentato dal 1987 al 1994, passando dal 12,9% al 17,8% dei casi, e oggi sembra essersi stabilizzato.
In Italia dall'inizio dell'epidemia (il primo caso è stato diagnosticato nel 1982) sono stati segnalati circa 30.000 casi. La regione più colpita è la Lombardia, seguita dal Lazio e dall'Emilia Romagna.
A livello mondiale, l'epidemia continua a espandersi in modo inesorabile. In Africa, dove vive il 10% circa della popolazione mondiale, si trova attualmente più del 60% degli adulti infetti. Più del 90% dei casi registrati in Africa è probabilmente dovuto a trasmissione per via eterosessuale. In Africa occidentale l'AIDS è per lo più causato dall'HIV-2, un parente stretto dell'HIV-1, riscontrato invece in Europa, negli Stati Uniti e in Africa centrale. L'epidemia di AIDS che sta attualmente colpendo l'Asia, dal 1992 al 1995 ha mostrato un andamento di crescita pari a circa il 100% di nuovi casi.
Altri ceppi lontanamente imparentati con l'HIV sono stati segnalati in alcune regioni del mondo. Benché alcuni di questi virus non possano essere identificati con i metodi diagnostici attualmente in uso, il rischio di diffusione è comunque limitato a causa dell'isolamento geografico in cui sono confinati questi ceppi. Lo stesso HIV-2 è estremamente raro al di fuori del continente africano.
In Italia, l'Istituto Superiore di Sanità ha istituito il Centro Operativo AIDS, che, tra le altre cose, raccoglie e aggiorna continuamente i dati epidemiologici relativi alla diffusione della malattia.
Prevenzione
All'inizio dell'epidemia, tutte le speranze della lotta contro l'AIDS erano riposte nello sviluppo di un vaccino affidabile contro l'infezione da HIV; oggi, tuttavia, questo obiettivo non sembra essere così a portata di mano, sia perché il virus ha una grande capacità di mutare il suo aspetto esteriore e di sfuggire, così, al riconoscimento da parte della risposta immunitaria indotta dai potenziali vaccini, sia perché i tempi necessari alla valutazione clinica di ciascun preparato sono molto lunghi.
Pertanto, gran parte degli sforzi preventivi è oggi concentrata soprattutto nel fornire al pubblico le corrette informazioni riguardo alle vie di trasmissione chiaramente identificate e ai comportamenti da adottare a livello personale per ridurre il rischio di infezione. Le campagne per il "sesso sicuro" raccomandano alla popolazione di adottare in tutti i rapporti sessuali le precauzioni necessarie, anche fra partner di lunga data o fra partner entrambi sieropositivi; i preservativi sono generalmente il sistema considerato più efficace nel fornire una barriera protettiva durante il rapporto. Inoltre, sono stati avviati programmi volti a ridurre la condivisione delle siringhe e la trasmissione dell'HIV fra i tossicodipendenti.
Alcune regole ferree, come l'uso di indumenti protettivi e la sterilizzazione degli strumenti utilizzati in medicina, hanno ridotto il rischio di contagio sia dei pazienti che del personale impiegato nelle strutture sanitarie. Tuttavia, l'abbandono di pratiche sessuali ad alto rischio (come l'elevata promiscuità o la non utilizzazione del preservativo) non è ancora stato accolto dalla totalità della popolazione, soprattutto in paesi a elevato livello di contagio.
Questioni sociali
Molti ritengono che l'AIDS sia una malattia semplice da prevenire, in quanto le vie di trasmissione dell'HIV sono molto ben documentate. Per scongiurare il contagio dovrebbero, tuttavia, imporsi decisivi cambiamenti nello stile di vita di tutta la società, in merito ai comportamenti sessuali e all'assunzione di droghe. Inoltre, gli sforzi di prevenzione tesi a promuovere la consapevolezza sessuale e l'uso del preservativo, specie nelle giovani generazioni, hanno sollevato la protesta di alcuni gruppi sociali, i quali temono che l'informazione possa tradursi in una maggiore promiscuità sessuale fra i giovani adulti.
Le ipotesi di rendere obbligatorio il test per tutta la popolazione, la comunicazione della condizione di sieropositività ai partner sessuali, nonché il test per l'HIV al momento del matrimonio o della gravidanza, sono stati criticati come forme di violazione della privacy. La questione della privacy dovrebbe venire, tuttavia, soppesata rispetto alle responsabilità della società di garantire la salute pubblica e di arginare la diffusione dell'HIV. Allo stesso modo, i programmi di distribuzione delle siringhe fra i tossicodipendenti sono stati criticati perché promuoverebbero l'uso della droga. La prevenzione tramite informazione di massa viene stimolata da strutture pubbliche e private. Tra le più importanti organizzazioni italiane, si ricordano la LILA (Lega Italiana per la Lotta all'AIDS) e l'ANLAIDS (Associazione Nazionale per la Lotta all'AIDS). Figure pubbliche e celebrità infette da HIV o morte di AIDS, come Earvin "Magic" Johnson, Arthur Ashe, Rock Hudson, Freddie Mercury, lo stilista Moschino e Rudolf Nureiev, dando un volto alla malattia hanno contribuito a rimuovere l'alone di condanna morale che spesso isola i malati e le loro famiglie.
Numerosi scienziati ritengono che la biologia dell'HIV e della sua interazione con il sistema immunitario dell'ospite non sia ancora conosciuta a sufficienza. Essi, pertanto, si augurano che una parte più consistente dei fondi a disposizione della ricerca sull'AIDS vengano rivolti alla ricerca di base, contribuendo allo sviluppo di farmaci e terapie particolarmente efficaci.
Quilt per l'AIDS
Il progetto "quilt", inaugurato nel 1986 dall'organizzazione "NAMES Project", si propone di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla sindrome da immunodeficienza acquisita. Ognuno delle migliaia di pannelli di cui è composto il gigantesco quilt è decorato e dedicato singolarmente alla memoria di una vittima dell'AIDS.