Armi nucleari
Bomba a fissione
La prima bomba atomica utilizzata in guerra fu sganciata dagli Stati Uniti sulla città giapponese di Hiroshima il 6 agosto 1945. La bomba, soprannominata "Little Boy", uccise decine di migliaia di persone in meno di un minuto. La massa di uranio delle dimensioni di una mela contenuta nell'ordigno produsse un’esplosione della potenza di 20.000 tonnellate di tritolo.
Ordigni esplosivi progettati per liberare energia nucleare su grande scala. La prima bomba atomica (o bomba A), che fu sperimentata il 16 luglio 1945 nei pressi di Alamogordo, nel New Mexico, rappresentava un tipo completamente nuovo di esplosivo artificiale.
Prima di quella data, tutti gli esplosivi derivavano la loro potenza dal rapido processo di combustione o di decomposizione di determinati composti chimici e quindi sfruttavano l’energia che si libera per effetto delle transizioni degli elettroni orbitanti tra i livelli energetici periferici, o più esterni, dell’atomo.
Diversamente, gli esplosivi nucleari liberano l’energia contenuta nel nucleo atomico: la bomba A sviluppa la sua spaventosa potenza per la rottura, o fissione, dei nuclei contenuti in alcuni chilogrammi di plutonio. Una sfera di uranio o di plutonio dalle dimensioni simili a quelle di una palla da baseball determina un’esplosione paragonabile a quella prodotta da 20.000 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale, come ad esempio il trinitrotoluene, noto come TNT. La bomba A fu sviluppata, costruita e collaudata dal Progetto Manhattan, un’imponente impresa iniziata dagli Stati Uniti nell’agosto 1942, durante la seconda guerra mondiale. Molti illustri scienziati, tra i quali i fisici Enrico Fermi, Richard Feynman ed Edward Teller e il chimico Harold Urey, furono coinvolti in quello che rappresentava il maggiore progetto scientifico al mondo, diretto dal generale dell’esercito statunitense Leslie Grooves. Direttore scientifico del progetto, che aveva base a Los Alamos, nel New Mexico, era il fisico statunitense J. Robert Oppenheimer.
Dopo la guerra, la US Atomic Energy Commission divenne responsabile della supervisione di tutti i progetti riguardanti lo sfruttamento dell’energia nucleare, compresa la ricerca sulle armi. Furono sviluppati nuovi tipi di bombe con lo scopo di estrarre energia da elementi più leggeri, come l’idrogeno, sfruttando il processo di fusione nucleare, nel quale nuclei di isotopi dell’idrogeno, deuterio o trizio, si uniscono per formare un più pesante nucleo di elio. Questa ricerca produsse bombe di potenza variabile tra una frazione di kiloton (equivalente a 1000 tonnellate di TNT) e molti megaton (1 megaton = 1 milione di tonnellate di TNT). Inoltre, la dimensione fisica della bomba fu drasticamente ridotta, permettendo lo sviluppo di proiettili nucleari tattici per artiglieria e di missili lanciabili dal suolo, dall’aria e utilizzabili anche sott’acqua. I grandi missili possono recare testate nucleari multiple indirizzabili su bersagli differenti.
Fissione e fusione
Sia dalle reazioni di fissione (scissione di un nucleo pesante in due nuclei leggeri), sia da quelle di fusione (combinazione di due nuclei leggeri in un nucleo più pesante) si libera energia nucleare. In entrambi i casi, infatti, si sprigiona un'energia pari alla differenza tra l’energia di legame dei nuclei prodotti e quella dei reagenti. Nelle bombe atomiche, a causa della reazione a catena, la liberazione rapida di un'elevata quantità di energia in un piccolo volume fa sì che la temperatura salga istantaneamente a decine di milioni di gradi. La rapida espansione e vaporizzazione del materiale che costituisce la bomba dà origine a un'esplosione di estrema potenza.
Microsoft Illustration
Fissione
Nel 1905
Albert Einstein pubblicò la teoria della relatività ristretta, che contiene la celebre relazione di equivalenza tra massa ed energia, espressa dall’equazione E = mc2. La relazione di Einstein afferma che una massa m può essere trasformata in una quantità di energia E uguale al prodotto della massa stessa per il quadrato della velocità della luce nel vuoto, c. Dato l’elevato valore di c, una porzione molto piccola di materia equivale a una enorme quantità di energia. Ad esempio, un chilogrammo di materia, convertito completamente in energia, è equivalente all’energia liberata dall’esplosione di 22 milioni di tonnellate di TNT.Nel 1939, in seguito agli esperimenti dei chimici tedeschi
Otto Hahn e Fritz Strassmann, che riuscirono a dividere un nucleo di uranio in due parti pressoché uguali tramite bombardamento con neutroni, la fisica austriaca Lise Meitner e il nipote Otto Frisch spiegarono il processo della fissione nucleare. Fu questo il primo passo verso la liberazione di energia dall’atomo.La reazione a catena
In una reazione di fissione, un nucleo di uranio o di un altro elemento pesante si scinde, per effetto del bombardamento con neutroni, formando una coppia di frammenti di nucleo e liberando una notevole quantità di energia. Il processo è accompagnato da una rapida emissione di neutroni veloci, uguali a quelli che hanno innescato la fissione del nucleo di uranio; ciò consente l’inizio della cosiddetta reazione a catena, che consiste in una serie autoalimentata di fissioni nucleari: i neutroni che vengono emessi nel processo di fissione possono a loro volta innescare il medesimo processo, con continuo sviluppo di energia. L’isotopo leggero dell’uranio, l’uranio 235, viene facilmente scisso per effetto dei neutroni prodotti durante la reazione di fissione e, scindendosi, emette in media 2,5 neutroni. Per sostenere la reazione a catena è necessario un neutrone per ogni generazione di fissioni nucleari; i neutroni eccedenti possono sfuggire dalla massa del materiale oppure possono essere assorbiti da impurità o dall’isotopo pesante uranio 238, nel caso in cui questo sia presente. Una sostanza capace di sostenere una reazione di fissione a catena è detta fissile.
Massa critica
Una piccola sfera di materiale fissile puro, come ad esempio l’uranio 235, circa delle dimensioni di una pallina da golf, non può sostenere una reazione a catena; troppi neutroni sfuggono infatti dalla superficie della sfera, che è relativamente grande rispetto al volume, e vengono in questo modo sottratti alla reazione. In una massa di uranio 235 delle dimensioni di una palla da baseball, invece, il numero di neutroni persi attraverso la superficie è compensato dai neutroni generati nelle fissioni che avvengono all’interno della sfera.
La quantità minima di materiale fissile (di una determinata forma) necessaria per mantenere una reazione a catena è detta massa critica. Incrementando ulteriormente la dimensione della sfera si ottiene una massa supercritica, nella quale le generazioni successive di fissioni aumentano molto rapidamente, conducendo a un’esplosione come conseguenza dello sviluppo estremamente rapido di un’enorme quantità di energia. In una bomba atomica, pertanto, una massa di materiale fissile di dimensioni maggiori del valore critico viene divisa in due o più parti non critiche, che vengono ravvicinate e tenute insieme per circa un milionesimo di secondo, così da costituire istantaneamente la massa critica; ciò consente che la reazione a catena si propaghi prima dell’esplosione della bomba. Un materiale pesante, detto tamper, circonda la massa fissile in modo da prevenirne una disintegrazione prematura e da ridurre il numero di neutroni che riescono a sfuggire.
Se in mezzo chilogrammo di uranio ogni atomo dovesse scindersi, l’energia prodotta eguaglierebbe la potenza esplosiva di 10.000 tonnellate di TNT. In questo caso ipotetico, l’efficienza del processo sarebbe del 100%; nei primi test della bomba A, questa efficienza non era neppure lontanamente raggiunta.
Detonazione delle bombe atomiche
Per
la
detonazione
delle
bombe
atomiche
sono
stati
messi
a
punto
vari
sistemi,
più
o
meno
sofisticati.
Nel
sistema
più
semplice,
un
proiettile
di
materiale
fissile
viene
sparato
contro
un
bersaglio
del
medesimo
materiale,
in
modo
che
le
due
masse
si
uniscano
in
un
insieme
supercritico.
La
bomba
atomica
fatta
esplodere
su
Hiroshima
il
6
agosto
1945
era
un’arma
di
questo
tipo,
dalla
potenza
di
circa
20
kiloton.
Un metodo più complesso, detto a implosione, viene utilizzato in un’arma di conformazione sferica. La parte più esterna della sfera consiste di uno strato di "lenti" di esplosivo comune ad alto potenziale, disposte in modo da concentrare l’esplosione verso il centro della bomba (implosione). Al centro si trova un nocciolo di materiale fissile che viene compresso dalla potente onda di pressione diretta all’interno; la densità del metallo ne risulta aumentata, con conseguente produzione di una configurazione supercritica. La bomba del test di Alamogordo e anche quella sganciata su Nagasaki il 9 agosto 1945, entrambe con una potenza di 20 kiloton, erano del tipo a implosione.
Indipendentemente dal metodo usato per ottenere un insieme supercritico, la reazione a catena procede per circa un milionesimo di secondo, liberando enormi quantità di energia termica. La liberazione così rapida di una tale energia in un piccolo volume fa sì che la temperatura salga istantaneamente a decine di milioni di gradi. La rapida espansione e vaporizzazione del materiale stesso che costituisce la bomba dà origine a un’esplosione di estrema potenza.
Produzione di materiale fissile
È stata necessaria molta sperimentazione per mettere a punto tecniche adeguate per la produzione di materiale fissile.
Separazione degli isotopi dell’uranio
L’isotopo fissile uranio 235 rappresenta solo lo 0,7% dell’uranio naturale, che è costituito prevalentemente dal più pesante e stabile uranio 238. Poiché i due isotopi sono chimicamente identici, non esistono metodi chimici che permettano di separare l’uranio 235 dall’uranio 238; per la separazione sono state studiate moltissime tecniche fisiche, che si basano, in linea di principio, sulla lieve differenza di peso fra i due tipi di atomo.
Un enorme impianto a diffusione gassosa fu realizzato durante la seconda guerra mondiale a Oak Ridge, nel Tennessee, e venne ingrandito al termine del conflitto; altri due impianti simili furono costruiti a Paducah, nel Kentucky, e a Portsmouth, nell’Ohio.
Il materiale di partenza è un gas estremamente corrosivo, l’esafluoruro di uranio, che viene pompato contro barriere che presentano molti milioni di minuscoli fori, attraverso i quali le molecole più leggere, che contengono l’isotopo 235 dell’uranio, si diffondono con velocità lievemente maggiore rispetto alle altre (vedi
Diffusione). Quando il gas è passato attraverso migliaia di barriere, risulta notevolmente arricchito nell’isotopo di uranio più leggero e il prodotto finale, contenente oltre il 90% di uranio 235, è di qualità adatta alla produzione di armi.La produzione del plutonio
L’isotopo uranio 238 (elemento con numero atomico 92) non è in grado di sostenere una reazione a catena, ma può essere convertito in un elemento fissile mediante bombardamento con neutroni. Quando un nucleo di uranio 238 cattura un neutrone, si trasforma in un isotopo ancora più pesante, l’uranio 239, che si disintegra rapidamente formando nettunio 239, un isotopo dell’elemento di numero atomico 93 (nettunio). Un’ulteriore disintegrazione tramuta questo isotopo in un isotopo dell’elemento con numero atomico 94, il plutonio 239. Quest’ultimo, come l’uranio 235, subisce fissione in seguito ad assorbimento di un neutrone e può essere pertanto usato come materiale per la fabbricazione di bombe nucleari, soltanto se si dispone di un’intensa sorgente di neutroni; una tale sorgente può essere fornita ad esempio da una reazione a catena controllata in un reattore nucleare.
Durante la seconda guerra mondiale i reattori nucleari furono progettati in modo da fornire neutroni per produrre plutonio. Reattori in grado di trattare grandi quantità di uranio 238 furono messi in funzione a Hanford, nello stato di Washington, e nei pressi di Aiken, nel South Carolina.
Armi
termonucleari,
o
a
fusione
Prima che venisse sviluppata la prima bomba atomica, gli scienziati si resero conto della possibilità di sfruttare una reazione diversa dal processo di fissione come fonte di energia nucleare. Invece di utilizzare l’energia liberata dalla reazione a catena di una massa critica di materiale fissile (che si scinde), le armi nucleari possono sfruttare l’energia sviluppata dalla fusione di elementi leggeri, ad esempio gli isotopi di atomi come l’idrogeno, che si uniscono a formarne uno più pesante (per questa ragione le armi basate sulle reazioni di fusione nucleare sono spesso chiamate bombe all’idrogeno, o bombe H). Dei tre isotopi dell’idrogeno esistenti, i due più pesanti, cioè il deuterio e il trizio, sono più instabili e quindi si combinano più facilmente per formare elio. Anche se la quantità di energia liberata per singola reazione nucleare è minore nel processo di fusione che in quello di fissione, 0,5 kg del materiale con peso atomico inferiore contengono un numero di atomi di gran lunga maggiore; pertanto, l’energia liberata da 0,5 kg di un isotopo dell’idrogeno è pari a circa 29 kiloton, ovvero tre volte quella dell’uranio a parità di massa. Questa stima, comunque, presuppone la completa fusione di tutti gli atomi di idrogeno. Le reazioni di fusione nucleare si verificano solo a temperature di molti milioni di gradi e il tasso con cui si svolge il processo aumenta enormemente al crescere della temperatura; pertanto tali reazioni sono denominate termonucleari, cioè indotte dal calore.
Lo sviluppo della bomba a idrogeno sarebbe stato impossibile prima del perfezionamento della bomba A, dato che solo quest’ultima può fornire la quantità di calore necessaria ad avviare la reazione di fusione dei nuclei di idrogeno.
Test termonucleari
Facendo seguito ai test di sviluppo condotti nella primavera del 1951 presso le isole Marshall, il primo esperimento di esplosione termonucleare coronato da successo fu effettuato il 1° novembre 1952: denominato Mike, produsse un’esplosione di parecchi megaton. L’Unione Sovietica fece detonare un’arma termonucleare da 10 megaton nell’agosto 1953; il 1° marzo dell’anno successivo, gli Stati Uniti sperimentarono una bomba a fusione da 15 megaton, che produsse una sfera di fuoco del diametro di quasi cinque chilometri e un’immensa nube a fungo che rapidamente giunse fino a quote stratosferiche.
Una bomba a fissione-fusione-fissione
Dopo l’esplosione tutto il mondo conobbe il fenomeno del cosiddetto
fallout radioattivo; la ricaduta di detriti radioattivi dall’immensa nube della bomba rivelò molto sulla natura stessa dell’esplosione termonucleare. Se la bomba H fosse stata un’arma costituita semplicemente da un innesco a fissione e una massa di isotopi di idrogeno (come si pensava prima dell’esplosione), la sola radioattività persistente dopo l’esplosione sarebbe stata quella prodotta dai detriti dell’innesco e quella indotta dai neutroni liberi a contatto con le scogliere coralline e con l’acqua di mare. Invece, la bomba termonucleare che esplose nel 1954 era in realtà un’arma a tre stadi. Ciò si scoprì grazie ad alcuni detriti radioattivi che andarono a ricadere su un peschereccio giapponese che stava solcando le acque a 160 chilometri dal punto dell’esplosione: questa polvere fu analizzata dagli scienziati giapponesi e il risultato dell’analisi dimostrò che l’ordigno doveva contenere qualcosa di più, oltre all’innesco e all’idrogeno. Il primo stadio consisteva di una grande bomba A, che fungeva da innesco; il secondo stadio era la fase di bomba H, risultante dalla fusione del deuterio e del trizio contenuti nell’ordigno (nel processo di fusione si formavano elio e neutroni ad alta energia); il terzo stadio era il risultato dell’impatto di questi neutroni ad alta velocità con il rivestimento esterno della bomba, costituito da uranio naturale, cioè uranio 238. Non si verificava una reazione a catena, ma i neutroni prodotti dalla fusione avevano energia sufficiente da provocare la fissione di nuclei di uranio e quindi un’ulteriore liberazione di energia, ma soprattutto di residui radioattivi.Effetti delle armi nucleari
Gli effetti delle armi nucleari sono stati e sono tuttora oggetto di attento studio.Effetti dell’onda d’urto
Come nel caso delle esplosioni prodotte dalle armi convenzionali, gran parte del danno provocato agli edifici e alle altre strutture da un’esplosione nucleare risulta, direttamente o indirettamente, dagli effetti dello scoppio. La rapidissima espansione dei materiali che costituiscono la bomba produce un impulso di alta pressione, o più precisamente un’onda d’urto, che si propaga in modo concentrico a partire dal punto in cui è avvenuta l’esplosione. In aria, questa onda d’urto è accompagnata dallo sviluppo di venti violentissimi, assai più potenti di quelli di un uragano, e il danno viene provocato sia dalla pressione dell’aria in prossimità del fronte dell’onda d’urto, sia dai venti estremamente intensi che persistono anche dopo il passaggio dell’onda.
L’entità del danno prodotto al suolo dipende dalla potenza dell’esplosione che viene espressa in tonnellate equivalenti di TNT, ma anche dalla quota a cui è stata fatta esplodere la bomba e dalla distanza delle strutture colpite dal punto zero, vale a dire dal punto che si trovava direttamente sotto l’ordigno all’istante dell’esplosione. Le bombe A da 20 kiloton esplosero sul Giappone a una quota di circa 550 m, poiché era stato calcolato che in corrispondenza di quel valore si sarebbe ottenuto il massimo danno.
Assumendo una quota di esplosione tale da rendere più vasta possibile l’area colpita, una bomba da 10 kiloton provocherebbe la distruzione di case poste a una distanza di oltre un chilometro e mezzo dal punto zero e danni moderati fino a due chilometri e mezzo. Il raggio della zona interessata dall’effetto distruttivo aumenta con la potenza della bomba, approssimativamente in proporzione alla sua radice cubica. Ad esempio una bomba da 10 megaton, ovvero 1000 volte più potente di una da 10 kiloton, ha raggio di azione 10 volte più lungo di quest’ultima.
Effetti termici
Le temperature estremamente alte raggiunte in un’esplosione nucleare risultano dalla formazione di una massa incandescente di gas compressi, detta palla di fuoco, che per un’esplosione in quota della potenza di 10 kiloton ha diametro di circa 300 m; per un’esplosione da 10 megaton il diametro raggiunge invece i 5 km. Dalla palla di fuoco viene emesso un lampo di radiazione termica che raggiunge una vasta area, seppure con intensità che decresce in modo costante. La quantità di energia termica ricevuta a una determinata distanza dal punto zero dipende dalla potenza della bomba e dallo stato dell’atmosfera: se la visibilità è scarsa e l’esplosione avviene al di sopra delle nubi, ad esempio, l’efficacia del lampo di radiazione termica che ne risulta è sensibilmente diminuita.
La radiazione termica che colpisce la pelle causa gravi ustioni, in particolare un’esplosione in quota da 10 kiloton può produrre ustioni di secondo grado sulla pelle non coperta, fino a 2,4 km dal punto zero; per una bomba da 10 megaton, la distanza corrispondente è di 32 km.
La radiazione termica può provocare lo sviluppo di incendi di materiale combustibile che si estendono se le condizioni sono favorevoli. I dati raccolti in seguito alle esplosioni atomiche sulle due città giapponesi rivelarono che molti incendi, specialmente nell’area attorno al punto zero, furono provocati da cause secondarie, come cortocircuiti, rotture delle condutture del gas, rottura dei forni e delle caldaie di impianti industriali. L’onda d’urto produsse detriti che contribuirono ad alimentare le fiamme e a ostacolare il lavoro di chi tentava di domarle.
In condizioni particolari, quali si verificarono a Hiroshima e non a Nagasaki, molti singoli incendi possono combinarsi a produrre una grande tempesta di fuoco. Il calore dell’incendio causa una forte corrente d’aria ascensionale, la quale a sua volta richiama forti venti verso il centro dell’area interessata; questi venti alimentano le fiamme e rendono l’area stessa un olocausto, in cui tutto ciò che esiste di infiammabile viene rapidamente divorato dal fuoco.
Radiazione penetrante
Oltre al calore e all’onda d’urto, l’esplosione di una bomba nucleare ha un effetto del tutto particolare e assolutamente devastante: l’emissione di radiazioni nucleari penetranti che hanno caratteristiche completamente diverse dalla radiazione termica. Quando viene assorbita dai tessuti corporei, la radiazione nucleare può causare danni estremamente gravi anche se, per un’esplosione in quota, questi si manifestano all’interno di un raggio minore rispetto a quello associato a un’onda d’urto e alla radiazione termica. In Giappone, tuttavia, molti individui che non avevano riportato danni letali per l’urto e per il calore, morirono in un secondo momento a causa delle radiazioni.
La radiazione nucleare prodotta da un’esplosione atomica può essere distinta in due categorie: radiazione diretta e radiazione residua.
Quella diretta consiste di una liberazione istantanea di neutroni e raggi gamma, che sono
radiazioni elettromagnetiche ad alta energia simili ai raggi X, su un’area di moltissimi chilometri quadrati. Sia i neutroni sia i raggi gamma hanno la proprietà di attraversare la materia allo stato solido, cosicché per difendersi dalla loro azione occorre essere schermati da spessori consistenti di materiale.La radiazione nucleare residua, generalmente nota come fallout, può rappresentare un rischio per aree molto vaste del tutto indenni dagli altri effetti di un’esplosione nucleare. Nelle bombe che traggono energia dalla fissione di uranio 235 o di plutonio 239, per ogni atomo fissile si producono due nuclei radioattivi; questi prodotti di fissione spiegano la persistente radioattività dei detriti delle bombe, dal momento che molti degli atomi hanno tempi di dimezzamento di giorni, mesi o anche anni.
Si conoscono due diverse categorie di fallout, precoce e ritardato. Se un’esplosione nucleare si verifica vicino alla superficie, avviene il risucchio dalla superficie stessa di detriti e acqua, materiali che vanno a costituire la nube a fungo e si contaminano con i residui radioattivi della bomba stessa. Il materiale contaminato comincia a ricadere nel giro di pochi minuti e può continuare anche per 24 ore, interessando un’area di migliaia di chilometri quadrati sottovento rispetto al punto dell’esplosione: è questo il cosiddetto fallout precoce, che costituisce un rischio immediato per gli esseri umani. Le esplosioni che avvengono a quota relativamente alta non danno luogo a fallout precoce. Se una bomba nucleare esplode ben lontana dal suolo, i residui radioattivi salgono ad alta quota nella nube a fungo, e ricadono gradualmente su un’area molto vasta.
I danni alle persone dovuti al fallout radioattivo sono stati ridotti. I casi individuali noti sono quelli derivati dall’esposizione accidentale di isolani e pescatori al fallout dell’esplosione da 15 megaton del 1° marzo 1954. La natura della radioattività, comunque, e la grande vastità delle aree che potrebbero essere contaminate da una singola esplosione rendono potenzialmente il fallout radioattivo uno degli effetti più micidiali delle esplosioni nucleari.
Effetti climatici
Oltre ai danni determinati dall’onda d’urto e dalle radiazioni associate a singole esplosioni nucleari, uno scambio di attacchi nucleari su vasta scala tra nazioni potrebbe avere un effetto globale catastrofico sul clima del nostro pianeta. Questa possibilità, ipotizzata in un articolo pubblicato da un gruppo internazionale di scienziati nel dicembre del 1983, acquisì notorietà come "teoria dell’inverno nucleare". Secondo l’opinione di questi scienziati, l’esplosione di meno della metà del numero complessivo di testate in possesso di Stati Uniti e Unione Sovietica avrebbe lanciato nell’atmosfera immense quantità di polvere e fumo, tali da schermare la luce solare per parecchi mesi (particolarmente nell’emisfero settentrionale), distruggendo la vita delle piante e instaurando un clima subglaciale, fino alla dispersione delle polveri. Secondo la teoria, anche lo strato di ozono sarebbe stato interessato dalle esplosioni, così da determinare in seguito danni ulteriori provocati dalla radiazione ultravioletta solare non schermata. Tutti questi effetti, persistendo per un tempo sufficiente, avrebbero potuto comportare la fine della civiltà umana. Da allora la teoria dell’inverno nucleare fu oggetto di enormi controversie; benché la sua fondatezza sia stata riconosciuta, le politiche di difesa delle maggiori potenze non sono state modificate.
Bombe H "pulite"
In media, circa il 50% della potenza di una bomba H risulta dalla reazione di fusione termonucleare; il restante 50% è fornito dalla fissione dell’innesco e dell’involucro di uranio. Per bomba H "pulita" si intende un ordigno in cui una frazione significativamente inferiore al 50% dell’energia viene fornita da processi di fissione. Dato che la fusione non dà luogo direttamente alla formazione di prodotti radioattivi, il fallout di una bomba pulita è inferiore, a parità di potenza, a quello di un comune ordigno nucleare. Se una bomba H non avesse rivestimento in uranio, ma solo l’innesco a fissione, potrebbe dirsi relativamente pulita, poiché forse meno del 5% della totale forza esplosiva potrebbe risultare dalla fissione.
La bomba al neutrone, sperimentata dagli Stati Uniti e da altre potenze nucleari, è una bomba a fusione in cui viene potenziata l’emissione di radiazione diretta, ma non si ha rilascio di prodotti radioattivi persistenti di fissione. Il gran numero di neutroni liberato nelle reazioni termonucleari induce radioattività nel suolo e nell’acqua entro una zona relativamente ristretta intorno all’esplosione; pertanto la bomba al neutrone viene considerata un’arma tattica, e non strategica, dal momento che può causare gravi danni sul campo di battaglia, uccidendo i militari che occupano carri armati e veicoli corazzati, senza provocare il fallout radioattivo che metterebbe in pericolo gli esseri viventi a molti chilometri di distanza..