Cosmologia
Scienza che studia l’evoluzione e la struttura dell’universo. In particolare, lo studio dell’origine dell’universo e dei sistemi astronomici, come il sistema solare, è detto spesso cosmogonia.
Prime teorie cosmologiche
Sistemi tolemaico e copernicano
Nel II secolo d.C. Tolomeo propose un sistema planetario di tipo geocentrico (a sinistra) secondo cui il Sole, la Luna e i pianeti orbitano intorno alla terra, fissa al centro dell'universo. Accolto da scienziati e teologi, questo modello sopravvisse indisturbato fino al XVI secolo, quando Niccolò Copernico avanzò l'ipotesi che al centro dell'universo non ci fosse la Terra, bensì il Sole. Osteggiato dalla comunità scientifica e dai teologi, che lo giudicavano un'eresia, il sistema copernicano fu confermato teoricamente e sperimentalmente nel corso del XVII secolo.
Le prime teorie cosmologiche di cui si abbia conoscenza, sviluppate probabilmente intorno al 4000 a.C. presso i popoli della Mesopotamia, erano formulate sulla base di dati empirici raccolti durante semplici osservazioni del cielo. Esse si fondavano sull’assunzione che la Terra fosse ferma, al centro dell’universo, e che tutti i corpi celesti si muovessero lungo orbite stabili, intorno a essa. La medesima concezione ricevette il consenso del filosofo
Aristotele e dell’astronomo greco Tolomeo, i quali sostennero l’ipotesi di un universo finito, sostanzialmente statico. Il moto notturno delle stelle venne interpretato sulla base di semplici modelli in cui le stelle, rappresentate da piccole e brillanti sferette di cristallo, venivano poste in moto intorno a un nucleo centrale, che rappresentava il nostro pianeta. Soprattutto a causa del prestigio di Aristotele, l’ipotesi che la Terra fosse al centro dell’universo rimase praticamente immutata fino al 1543, quando l’astronomo polacco Niccolò Copernico pubblicò le proprie teorie nel De Revolutionibus Orbium Coelestium (Sulla rivoluzione delle sfere celesti). Proponendo un nuovo modello planetario nel quale i pianeti si muovevano su orbite circolari attorno al Sole, che secondo la teoria si trovava al centro dell’universo, egli attribuì il moto delle stelle alla rotazione della Terra attorno al proprio asse. Il passo successivo venne compiuto dall’astronomo tedesco Giovanni Keplero il quale, convinto sostenitore del sistema copernicano, enunciò le tre leggi che regolano il moto dei pianeti . L’ipotesi copernicana trovò poi in Galileo uno dei più illustri sostenitori. Il matematico e fisico britannico Isaac Newton mostrò che le leggi di Keplero potevano essere dedotte dalle leggi generali del moto e dalla teoria della gravitazione universale, mettendo in evidenza la validità generale di queste teorie.Distanze nell’universo
Via Lattea
Il Sistema solare, a cui la Terra appartiene, si trova in uno dei bracci della galassia a spirale detta Via Lattea. Questa fotografia punta al suo centro, a 30.000 anni luce da noi: come in tutte le galassie, le stelle brillano su uno sfondo scuro di gas e polveri.
Una prima misura delle distanze delle stelle venne eseguita all’inizio del XIX secolo dall’astronomo tedesco
Friedrich Wilhelm Bessel. Egli scoprì che la stella vicina 61 Cygni si trovava in realtà 600.000 volte più lontana del Sole. Nel 1917 l’astronomo statunitense Harlow Shapley fornì le prime indicazioni sulle dimensioni della nostra galassia, la Via Lattea, attribuendole un diametro di circa 350.000 anni luce. Egli, tuttavia, trascurò l’assorbimento della luce proveniente dalle stelle distanti da parte delle particelle di polvere galattiche (un fenomeno che riduce la luminosità apparente degli oggetti più lontani, facendoli sembrare più distanti di quanto essi non siano realmente) e ottenne quindi una sovrastima dei valori reali. Attualmente si assume per il diametro della parte visibile della galassia il valore di 30.000 parsec (circa 100.000 anni luce). L’astronomo danese Jan Hendrik Oort scoprì che il Sole impiega circa 250 milioni di anni per orbitare attorno al centro della Via Lattea, e da questo risultato dedusse che essa ha massa pari a circa 100 miliardi di masse solari.Fino all’inizio di questo secolo la natura degli oggetti celesti descritti come
nebulose a spirale e nebulose ellittiche non era definita con certezza; in particolare non si sapeva se essi appartenessero o meno alla nostra galassia. Nel 1924 l’astronomo statunitense Edwin Hubble riuscì a osservare alcune stelle singole di questi oggetti: esse si rivelarono variabili pulsanti di tipo cefeide, cosicché misurandone il periodo di pulsazione fu possibile determinarne la luminosità intrinseca. Confrontando la luminosità apparente di queste stelle con quella nota di cefeidi vicine, Hubble dimostrò che le nebulose, situate ben al di fuori della Via Lattea, sono in realtà galassie vere e proprie, ciascuna contenente centinaia di miliardi di stelle; egli calcolò che la galassia di Andromeda era situata a 900.000 anni luce di distanza dalla Terra, ma questo risultato venne successivamente corretto a 2,2 milioni di anni luce, in seguito a osservazioni e ricerche più precise sulle variabili cefeidi.Legge di Hubble
Nel 1912 l’astronomo statunitense Vesto M. Slipher osservò che le righe degli
spettri di emissione della maggior parte delle galassie presentavano un caratteristico spostamento verso lunghezze d’onda maggiori. Questo fenomeno, interpretato sulla base dell’effetto Doppler, mostrava che la maggior parte delle galassie si stava lentamente allontanando dalla nostra.Nel 1929, confrontando le distanze note di alcune galassie con i redshift determinati da Slipher, Hubble scoprì che la velocità di recessione delle galassie è proporzionale alla loro distanza. Questo risultato, noto come legge di Hubble, è tuttora uno dei più importanti principi della cosmologia. Oggi si sa che il rapporto tra la velocità di recessione e la distanza di una galassia (detto costante di Hubble) è compreso tra 50 e 100 km/sec per megaparsec (1 megaparsec equivale a 1 milione di parsec).
Il fatto che tutte le galassie si stiano allontanando dalla Via Lattea potrebbe erroneamente suggerire che quest’ultima sia posta al centro dell’universo. Ciò che avviene in realtà può essere descritto con un modello estremamente semplice: immaginiamo di gonfiare un palloncino sul quale siano disegnate delle macchie equidistanti l’una dall’altra; un osservatore posto su una macchia qualsiasi vede tutte le altre macchie allontanarsi da lui, esattamente come si verifica nell’universo; questa analogia fornisce, in prima approssimazione, una semplice spiegazione della legge di Hubble.
Modelli dell’universo statici e in espansione
Nel 1917
Albert Einstein propose un modello di universo basato sulla teoria della relatività generale. Introducendo una quarta dimensione temporale, egli mostrò che la forza di gravità poteva essere descritta come una curvatura dello spazio-tempo quadridimensionale, e dimostrò dal punto di vista teorico il processo di espansione dell’universo. Poiché questo concetto non era ancora stato definito, egli postulò l’esistenza di una forza di repulsione tra galassie, capace di bilanciare la forza di attrazione gravitazionale, e introdusse nelle equazioni una "costante cosmologica" che rendeva conto della staticità dell’universo. Tempo dopo lo scienziato riferì questo episodio come "il più grande errore della mia vita".Modelli dinamici dell’universo furono sviluppati nel 1917 dall’astronomo olandese Willem de Sitter, nel 1922 dal matematico russo Alexander Friedmann e nel 1927 dall’abate belga Georges Lemaître. L’universo di De Sitter risolveva le equazioni della relatività einsteiniana valide per un universo vuoto, in modo che le forze gravitazionali fossero trascurabili. La soluzione di Friedmann dipendeva direttamente dalla densità della materia presente nell’universo ed è ancora il modello correntemente accettato. Anche Lemaître lavorò a una soluzione delle equazioni di Einstein, benché il suo nome sia ancora oggi legato all’idea di "atomo primordiale". Secondo questa concezione, che può essere considerata una prima formulazione della
teoria del Big Bang, le galassie sono frammenti eiettati dall’esplosione di un "atomo" da cui ha avuto origine l’universo.Il destino dell’universo di Friedmann dipende dalla densità media della materia presente nell’universo stesso. Se la massa fosse relativamente piccola, la mutua interazione gravitazionale tra galassie determinerebbe, secondo la teoria, un leggero rallentamento della velocità di recessione, e il processo di espansione continuerebbe indefinitamente; si parla, in questo caso, di universo aperto, di dimensioni infinite. Se, al contrario, la densità della materia fosse maggiore di un valore critico, stimato oggi in 5 × 10
-30 g per cm3, l’espansione si arresterebbe, trasformandosi in una progressiva contrazione che si concluderebbe in un collasso gravitazionale totale dell’intero universo. Si parla, in quest’ipotesi, di universo chiuso, di dimensioni finite. Il destino ulteriore di un universo di questo tipo è incerto, ma la teoria sostiene che potrebbe esplodere nuovamente, per poi espandersi e di nuovo collassare, in un ciclo infinito; per questa ragione questo modello di universo è talvolta detto pulsante o oscillante.Modelli di universo
Secondo la teoria del Big bang, l’universo ebbe origine circa 15 miliardi di anni fa. Il suo futuro è incerto: l’espansione potrebbe arrestarsi (universo chiuso) o continuare a dilatarsi indefinitamente (universo aperto). Il caso intermedio tra i due è quello dell’universo piatto, che comunque prevede un'espansione infinita.
L’età dell’universo
Calcolando il tasso attuale di espansione dell’universo è possibile determinarne l’età; si tratta comunque di una stima per eccesso, poiché l’espansione è stata rallentata nel corso del tempo dalla forza di gravità tra galassie. I primi calcoli fornirono un risultato di soli 2 miliardi di anni, un valore notevolmente minore dell’età della Terra, stimata sulla base della quantità nelle rocce di alcuni isotopi radioattivi e dei loro prodotti di decadimento. Le successive correzioni nella scala delle distanze hanno rimediato a questa incongruenza: si è scoperto, ad esempio, che vi sono due tipi di variabili cefeidi, con luminosità intrinseca diversa. Al momento, le stime dell’età dell’universo variano tra 7 e 20 miliardi di anni, e quindi non sono in conflitto con i dati riguardanti l’evoluzione della
Terra. Vi è però contraddizione con l’età presunta di oggetti astronomici come gli ammassi globulari, e ciò rende il problema dell’età dell’universo il più importante della cosmologia moderna.Teoria dello stato stazionario
Nel 1948 gli astronomi britannici Hermann Bondi, Thomas Gold e Fred Hoyle formularono un modello di universo completamente differente, oggi noto come teoria dello stato stazionario. Trovando poco soddisfacente dal punto di vista filosofico l’idea di un inizio improvviso dell’universo, essi proposero un’estensione del "principio cosmologico" sul quale si basavano alcune delle precedenti teorie, quale ad esempio il modello di Friedmann. Nella sua forma originaria, più ristretta, questo principio stabilisce che, in un dato istante, l’universo è in media identico in qualunque luogo; il "principio cosmologico perfetto" di Bondi, Gold e Hoyle aggiunge un secondo postulato secondo cui esso appare identico, sempre, in qualunque momento. Essi proposero che la diminuzione di densità provocata dall’espansione fosse esattamente bilanciata da una continua produzione di nuova materia, ma questo concetto si rivelò incompatibile con la scoperta della
radiazione cosmica di fondo avvenuta nel 1965, e trova quindi un ridotto numero di sostenitori.La teoria dell’universo stazionario è in contrasto con la scoperta dei
quasar, oggetti extragalattici molto piccoli ma estremamente luminosi, situati a grandi distanze dalla Terra. La luce proveniente da questi corpi celesti impiega miliardi di anni per raggiungere la superficie terrestre, quindi essi appartengono al remoto passato e possono fornire interessanti indicazioni sulle origini e sulla struttura iniziale dell’universo.Nel 1948 il fisico di origine russa
George Gamow modificò la teoria di Lemaître dell’atomo primordiale, proponendo un nuovo modello di universo, originatosi da una grande esplosione iniziale, chiamata Big Bang cosmico; i diversi elementi chimici si sarebbero formati nei primi minuti dopo il Big Bang, quando si sarebbero verificate le condizioni di temperatura e pressione adeguate (i calcoli successivi indicarono comunque che solo l’idrogeno e l’elio possono essersi formati durante l’esplosione, mentre gli altri elementi furono probabilmente prodotti dalle reazioni nucleari che avvengono nelle stelle). Secondo la teoria del Big Bang, la materia, che si trovava in uno stato di densità elevatissima, si espanse molto rapidamente e durante questo processo la temperatura si ridusse considerevolmente; l’idrogeno e l’elio si condensarono, formando le stelle e le galassie.Mentre l’universo si espandeva, la radiazione residua del Big Bang continuò a raffreddarsi, fino all’odierna temperatura di circa 3 K (-270 °C). Questa
radiazione cosmica di fondo venne rivelata dai radioastronomi nel 1965, fornendo una conferma molto convincente della teoria del Big Bang.
Evoluzione dell’universo
Non si sa ancora con certezza se l’universo sia aperto o chiuso, in altre parole, se esso sia destinato a espandersi indefinitamente oppure a dare inizio a un processo di contrazione.
Un approccio alla risoluzione di questo problema è cercare di determinare se la densità media della materia sia maggiore del valore critico previsto dal modello di Friedmann. La massa di una galassia può essere calcolata osservando il moto delle stelle che la costituiscono. Se si stima la massa dell’universo semplicemente moltiplicando la massa di una galassia media per il numero delle galassie visibili, si trova un valore di densità che è solo il 5-10% del valore critico. Si può determinare la massa di un ammasso di galassie in modo analogo, misurando il moto delle galassie che vi appartengono e moltiplicando il risultato trovato per il numero di ammassi. Con questo procedimento si ottiene una densità media maggiore, vicina al valore critico, che sembrerebbe avvalorare le ipotesi dell’universo chiuso. La discrepanza tra questi metodi lascia supporre l’esistenza di una grande quantità di materia invisibile, la cosiddetta
materia oscura, situata all’interno degli ammassi ma non osservabile nelle singole galassie.Poiché la luce che proviene dalle galassie più distanti ha viaggiato per miliardi di anni, ciò che noi osserviamo è in realtà l’aspetto dell’universo nel passato. Utilizzando i moderni rivelatori per infrarosso, estremamente sensibili, gli astronomi dell’osservatorio di Mauna Kea fotografarono centinaia di galassie debolissime, per la maggior parte ammassate a una distanza di 6 miliardi di anni luce. Le immagini raccolte, che rappresentano una situazione di 6 miliardi di anni fa, mostrano un unico tipo di galassie, piccole e compatte, che contengono molte meno stelle della Via Lattea. Le giovani galassie ellittiche e a spirale visibili oggi devono quindi essersi formate dalla fusione di piccoli frammenti di galassie, in un secondo stadio della storia dell’universo e molto tempo dopo il Big Bang; esse rappresentano perciò solo una delle fasi dell’evoluzione.
Le teorie cosmologiche moderne sono impegnate a sviluppare una migliore comprensione dei fenomeni che hanno portato al Big Bang. La teoria dell’
inflazione, proposta nei primi anni Ottanta, introduce nella formulazione originale di Gamow le recenti scoperte della fisica delle particelle elementari. Si sono anche sviluppate teorie speculative ardite, secondo cui, ad esempio, potrebbero essersi prodotti infiniti universi. La maggior parte dei cosmologi è attualmente concentrata a localizzare la materia oscura, sebbene alcuni di essi, tra cui il premio Nobel per la fisica Hannes Alfvén, perseguano l’idea che non solo la gravità, ma anche fenomeni legati al plasma e ai campi magnetici galattici siano la chiave per comprendere la struttura e l’evoluzione dell’universo.