Evoluzione
Cenni storici
Caratteristiche come la ricca diversità della vita, la perfezione apparentemente magica degli
adattamenti degli organismi viventi e la stupefacente complessità delle loro strutture anatomiche, per secoli sono state spiegate esclusivamente con la creazione divina. Alternative a questa spiegazione sono state ipotizzate ripetutamente nel corso della storia da alcuni singoli pensatori. Il concetto della modificazione delle specie in altre specie, già elaborato dagli antichi greci, rimase nell'ombra fino al XVIII secolo, quando ricomparve nelle idee di alcuni studiosi moderni come Pierre de Maupertuis, Erasmus Darwin e Jean-Baptiste de Lamarck. Nella prima metà del XIX secolo le idee evoluzionistiche iniziarono a diffondersi nei circoli intellettuali, specialmente tra gli studiosi di geologia; i concetti rimanevano, tuttavia, piuttosto vaghi e non venivano presentate ipotesi sui meccanismi con cui possono avvenire i cambiamenti.Per una formulazione precisa e completa della teoria evolutiva fu necessario attendere
Charles Darwin (il nipote di Erasmus), che costruì la sua ipotesi di lavoro attorno al concetto di selezione naturale, elaborato indipendentemente negli stessi anni anche da Alfred Russel Wallace. La teoria dell'evoluzione di Darwin fu pubblicata nel 1859, nel libro intitolato L'origine delle specie. Benché la teoria darwinista abbia incontrato notevoli resistenze, specialmente tra le fila della gerarchia ecclesiastica, i suoi fondamenti razionali sono così convincenti, che in breve tempo l'idea dell'evoluzione di tutte le specie viventi (compreso l'uomo) da altre specie precedenti è stata accolta con favore da gran parte dell'opinione pubblica. Alcune fondamentali scoperte compiute in questo secolo dalla biologia molecolare sembrano confermare l'ipotesi di derivazione di tutte le specie da un unico antenato comune; una di queste è la decifrazione di un codice genetico condiviso da quasi tutte le forme viventi.L'origine della vita
La Terra si è probabilmente formata tra 5000 e 4000 milioni di anni fa e le prime forme di vita di cui si ha una documentazione fossile sono organismi microscopici simili a batteri, risalenti a circa 3000 milioni di anni. La data di origine della vita sulla Terra deve, pertanto, essere collocata in un qualche momento tra questi due periodi. Non è possibile sapere con certezza che cosa successe, anche se numerosi studiosi di questo evento concordano sul fatto che l'evento chiave deve essere stato la formazione spontanea di unità autoreplicanti, in senso lato simili ai moderni
geni. Come questo sarebbe avvenuto è oggetto di ipotesi che generano molte controversie.L'atmosfera della Terra primordiale era riducente e conteneva probabilmente
metano, ammoniaca, anidride carbonica e altri gas che oggi si trovano in abbondanza in altri pianeti del sistema solare. Alcuni chimici hanno ricreato in laboratorio le condizioni primordiali in cui si ritiene che abbia avuto origine la vita, cercando di riprodurre sperimentalmente questo evento. L'esperimento ha avuto luogo in un pallone di vetro, in cui sono stati miscelati acqua e gas e si è fornita energia tramite una scarica elettrica. In queste condizioni i ricercatori hanno registrato la sintesi spontanea di alcune molecole organiche, tra cui amminoacidi (le subunità di cui sono costituite le proteine) e nucleotidi (i mattoni di costruzione degli acidi nucleici, DNA e RNA). Probabilmente sulla Terra primitiva è successo qualcosa di simile, che ha in seguito trasformato la massa oceanica in un "brodo primordiale" di composti organici prebiologici.La
formazione
del
brodo
primordiale
contenente
molecole
organiche
non
è,
tuttavia,
sufficiente
a
dire
che
si
sia
originata
la
vita:
come
menzionato
in
precedenza,
il
passo
cruciale
deve
essere
stata
la
sintesi
di
molecole
autoreplicanti,
capaci
di
produrre
autonomamente
copie
di
se
stesse.
La
più
nota
molecola
autoreplicante
che
esiste
attualmente
è
il
DNA
(acido
desossiribonucleico);
molti
ricercatori
ritengono,
tuttavia,
che
il
DNA
non
potesse
essere
la
molecola
autoreplicante
presente
all'origine
della
vita,
poiché
la
sua
replicazione
dipende
da
meccanismi
e
molecole
accessorie
molto
complessi,
che
non
potevano
essere
disponibili
in
quel
momento.
Secondo
le
ipotesi
più
accreditate
il
DNA
si
sarebbe
evoluto
in
un
secondo
momento,
da
un
altro
acido
nucleico
molto
simile:
si
tratta
dell'RNA,
che
riveste
ancora
un
ruolo
vitale
nelle
In seguito a questo evento, la popolazione di molecole autoreplicanti presente nel brodo primordiale potrebbe essere stata sottoposta a una pressione selettiva analoga a quella descritta da Darwin come selezione naturale. Nella popolazione si sarebbero, cioè, formate delle molecole mutanti, a causa di errori che comparivano casualmente durante la duplicazione: le varianti in grado di replicarsi in modo particolarmente efficiente sarebbero divenute dominanti nel brodo primordiale, mentre le varianti a replicazione inefficiente si sarebbero gradualmente ridotte di numero, fino a scomparire. Questo tipo di selezione, che potrebbe essere nata dalla competizione da parte dei diversi tipi di molecole autoreplicanti per le molecole organiche costitutive presenti nel brodo primordiale, potrebbe avere condotto a una sempre maggiore efficienza delle molecole replicanti.
Sempre nella direzione dell'origine delle forme di vita cellulari, altri eventi chiave potrebbero essere stati l'associazione delle molecole autoreplicanti ad altre molecole (forse proteine) in complessi sovramolecolari e la formazione di strutture membranose, in grado di costituire un ambiente, chiuso e controllato, in cui potessero avvenire reazioni chimiche differenti da quelle dell'ambiente esterno. Queste prime formazioni limitate da una membrana potrebbero essere stati i primi organismi unicellulari, simili a batteri, di cui conserviamo la documentazione fossile, risalente a circa 3000 milioni di anni fa.
La storia evolutiva
I passi successivi nell'evoluzione di organismi viventi sempre più complessi può essere visto come il tentativo di costruire strutture sempre più efficienti nel permettere alle molecole autoreplicanti (i moderni geni) di sopravvivere e riprodursi indefinitamente. In 3000 milioni di anni si sarebbero, così, potute produrre le sorprendenti architetture costituite, ad esempio, dal corpo dei vertebrati e degli insetti. Quindi i geni, che sono generalmente considerati come gli strumenti necessari alla riproduzione del corpo, possono anche essere visti come le strutture che hanno diretto l'evoluzione di organismi complessi e raffinati, in grado di garantire la propria perpetuazione. In altre parole, la gallina potrebbe essere una macchina inventata dall'uovo per produrre un altro uovo.
Grandi quantità di resti fossili si iniziano a trovare su larga scala solo a partire dal Cambriano, circa 600 milioni di anni fa, quando era già comparsa la maggior parte dei principali phyla animali e vegetali (i grandi gruppi in cui è classificato il mondo vivente). Ciò è probabilmente dovuto al fatto che le forme di vita precedenti al Cambriano erano prive di parti scheletriche rigide, come ossa e denti, e dunque non fossilizzavano facilmente. I primi vertebrati fecero la loro comparsa tra 300 e 400 milioni di anni fa; erano creature simili a pesci, interamente ricoperte di pesanti armature, che forse rappresentavano un sistema di protezione contro gli euripteridi: giganteschi predatori marini, simili a scorpioni, che infestavano i mari a quel tempo.
L'uscita dall'acqua e la colonizzazione della terraferma deve essere avvenuta circa 250 milioni di anni fa, prima da parte di pesci con pinne lobate e polmoni, poi dagli anfibi e infine da animali considerati simili ai rettili. I mammiferi e, successivamente, gli uccelli si sono originati da due linee evolutive differenti dei rettili. La rapida differenziazione dei mammiferi nella ricca varietà di specie che possiamo osservare anche oggi, dall'opossum all'elefante, dai formichieri alle scimmie, sembra essere stata favorita dal vuoto lasciato dalla catastrofica estinzione dei dinosauri, avvenuta circa 65 milioni di anni fa.
Sebbene noi tendiamo naturalmente a enfatizzare l'evoluzione dei gruppi a cui apparteniamo – i vertebrati, i mammiferi e i primati – questi rappresentano solo una piccola ramificazione del grande albero della vita. Si riconoscono alcune dozzine di phyla animali, dei quali i vertebrati sono solo un subphylum. Oltre al regno animale, altre linee evolutive sono raggruppate nei regni delle piante, dei funghi e dei prototisti, tutti appartenenti al grande raggruppamento degli eucarioti (con cellule caratterizzate da un vero nucleo, delimitato da membrana). Contrapposti agli eucarioti sono i procarioti, organismi unicellulari privi di nucleo circondato da membrana, che costituiscono un regno a se stante, comprendente molti tipi di batteri. Le cellule eucariotiche si sono probabilmente formate dall'unione simbiontica di più cellule procariotiche, ciascuna specializzata in una funzione differente. Tracce di questo percorso evolutivo sono costituite da organuli come i mitocondri e i cloroplasti, che si trovano circondati da una doppia membrana all'interno delle cellule eucariote, contengono il proprio materiale genetico e sono quasi certamente i discendenti di procarioti ancestrali. I virus non sono considerati unanimemente come organismi viventi, in quanto non sono capaci di vita indipendente al di fuori di una cellula ospite.
L'evoluzione dell'uomo
La nostra specie si è evoluta all'interno del gruppo delle scimmie antropomorfe africane, grazie a uno scatto evolutivo avvenuto qualche milione di anni fa. In base ad alcune prove molecolari, l'ultimo antenato comune a specie umana, scimpanzé e gorilla risalirebbe a non più di cinque milioni di anni fa. I resti fossili dei nostri diretti antenati ci mostrano diverse forme arcaiche di Homo sapiens (fra cui l'uomo di Neanderthal,Tra i nostri progenitori, le dimensioni del cervello aumentano progressivamente con l'evolversi delle diverse specie: l'encefalo di Homo erectus era più piccolo di quello di Homo sapiens. Gli antenati immediatamente precedenti al genere Homo sembrano essere stati membri del genere Australopithecus, descritti come scimmie antropomorfe bipedi, con un cervello di dimensioni simili a quello dei moderni scimpanzé. Prima di loro, la nostra linea evolutiva era fusa a quella delle altre scimmie antropomorfe africane, gli scimpanzé e i gorilla, e per circa dieci milioni di anni è stata caratterizzata da
adattamenti alla vita arboricola, quali gli occhi frontali e le mani e i piedi prensili. Prima ancora, i nostri antenati erano probabilmente piccoli animali insettivori simili a toporagni, che vivevano di notte in un mondo dominato dai dinosauri. Questi piccoli mammiferi discendevano, a loro volta, dal grande gruppo dei "rettili-mammiferi", diffusi prima dell'avvento dei dinosauri.Le prove dell'evoluzione
Il contributo di
Darwin alla comprensione di come avviene l'evoluzione delle forme viventi comprende, da un lato, la raccolta di un'enorme quantità di prove a sostegno di questo processo e, dall'altro lato, la formulazione dell'unica teoria in grado di spiegarne scientificamente i meccanismi. Benché Alfred Russel Wallace sia arrivato in modo indipendente a formulare la teoria evolutiva quasi contemporaneamente a Darwin, il nome di quest'ultimo viene, tuttavia, ricordato più di quello di Wallace per il gran numero di prove chiare e convincenti che sono presentate nell'Origine delle specie. Darwin conosceva l'esistenza di alcuni resti fossili, che utilizzò come argomento a sostegno della sua teoria evolutiva. Alcuni geologi del suo tempo, tuttavia, ritenevano che queste prove non fossero abbastanza convincenti. In particolare, nel 1862 il fisico William Kelvin, che come scienziato godeva al tempo di un immenso prestigio, mise in difficoltà Darwin, dimostrando con autorevolezza ma, come oggi sappiamo, erroneamente, che il Sole e quindi la Terra non potevano essere più vecchi di 24 milioni di anni. Sebbene questa stima fosse considerevolmente migliore del 4004 a.C., assunta allora dalla gerarchia ecclesiastica come probabile data della creazione, essa non lasciava a Darwin il tempo sufficiente a spiegare l'evoluzione delle specie viventi da lui ipotizzata. L'errore di Kelvin, successivamente chiarito, si basava sull'assunto che il sole fornisse calore per combustione invece che (come, obiettivamente, non poteva sapere) per fusione nucleare.Oltre ai resti fossili, Darwin fornì altre prove dell'evoluzione, talvolta meno dirette, ma in molti casi più convincenti. Le veloci modificazioni che si ottenevano con gli incroci degli animali e delle piante domestici erano un argomento persuasivo sia della possibilità di generare varianti evolutive delle specie, sia per dimostrare l'efficacia dell'equivalente artificiale della selezione naturale, che Darwin proponeva come meccanismo alla base dell'evoluzione. Darwin era, inoltre, particolarmente convinto dalla prova della distribuzione geografica degli animali: la presenza di specie simili nei diversi continenti si spiega, infatti, facilmente con la separazione delle specie ancestrali, avvenuta con la deriva dei continenti (Vedi
Tettonica a zolle), e con la divergenza evolutiva dalle specie originali delle popolazioni così separate, fino alla trasformazione in nuove specie, tipiche di ciascuna area geografica. Una specie è, per definizione, un gruppo di organismi viventi in grado di incrociarsi tra loro e di produrre prole fertile. La teoria creazionista che si oppone all'evoluzionismo non fornisce una spiegazione altrettanto semplice e convincente di questo fenomeno, in quanto ipotizza la creazione di specie simili, ma indipendenti, avvenuta ripetutamente in numerosi punti della superficie terrestre.La
classificazione tassonomica di animali, piante e altri organismi viventi avviene in base a criteri di somiglianza così naturali, che intuitivamente suggerisce la presenza di un albero genealogico, in grado di collegare le diverse specie le une alle altre; a questo proposito, invece, nella teoria creazionista si trovano ipotesi forzate ed elaborate per spiegare il senso di temi e variazioni nella mente del creatore. Un'ulteriore prova apportata da Darwin a sostegno delle sue ipotesi è costituita dagli organi vestigiali presenti negli adulti e negli embrioni di molti animali: ad esempio, le piccole ossa nascoste all'interno degli arti posteriori delle balene sarebbero i residui evolutivi delle zampe dei loro antenati terrestri. Questi particolari non vengono spiegati in modo altrettanto efficace dai creazionisti.Quasi ogni struttura biologica, se osservata dettagliatamente, porta in sé elementi che possono contribuire a spiegare i meccanismi dell'evoluzione, che vengono dimostrati da un enorme numero di prove, oggi confermate anche dalle scoperte della moderna
biologia molecolare oltre le migliori aspettative di Darwin. Il meccanismo alla base dell'evoluzione, proposto da Darwin e Wallace con il nome di selezione naturale, consiste nella sopravvivenza non casuale di caratteristiche ereditarie che variano, invece, casualmente. Qualcosa di simile era stato suggerito in precedenza da altri studiosi britannici del periodo vittoriano, come Patrick Matthew ed Edward Blyth, anche se il loro apprezzamento di questa forza selettiva era apparentemente limitato alla componente negativa, di eliminazione delle specie. Darwin e Wallace riconobbero, invece, il suo potenziale di forza anche positiva, in grado di guidare l'evoluzione di tutte le forme di vita. In sintesi, la selezione naturale è l'insieme di tutte le forze presenti nell'ambiente naturale, che esercita una pressione evolutiva su tutte le forme di vita e le loro varianti. Semplificando, si può dire che la selezione naturale opera scegliendo il "più adatto" e scartando "il meno adatto". Ma che cosa si intende per "adatto"? Secondo Darwin una variazione ha valore adattativo quando aiuta l'organismo che la porta a sopravvivere e a riprodursi. Esempi di qualità adattative, ad esempio in un predatore, sono la corsa veloce e la vista acuta. Il termine inglese fitness viene oggi comunemente usato dagli evoluzionisti per indicare "qualunque cosa sia favorita dalla selezione naturale".Alla teoria della selezione naturale molti degli evoluzionisti delle generazioni precedenti a Darwin preferivano, invece, un'ipotesi alternativa, oggi comunemente associata al nome di
Lamarck, secondo la quale le variazioni acquisite durante la vita di un organismo, come l'ingrossamento di un organo in seguito a un utilizzo intenso o la sua riduzione a causa di un uso ridotto, sarebbero ereditarie. Benché questa teoria dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti possa esercitare un fascino irrazionale ed emotivo, non vi sono, tuttavia, prove in grado di dimostrarla, né essa è possibile teoricamente. È, infatti, difficile da spiegare come le variazioni operate sul corpo dell'individuo nel corso di una vita (come la coda mozzata di un gatto) possano andare a codificarsi nei geni delle cellule della linea germinale. Ai tempi di Darwin, tuttavia, le conoscenze molecolari dei meccanismi dell'ereditarietà erano sostanzialmente nulle e, dunque, la questione era molto più incerta e controversa.La scarsa conoscenza di questi meccanismi risulta evidente nella teoria della pangenesi, proposta da Darwin per spiegare l'ereditarietà. In base a questa ipotesi, i fattori ereditari che vengono passati di generazione in generazione sarebbero il contributo di parti infinitesime, provenienti da tutte le regioni dell'organismo dei genitori e confluenti nelle cellule germinali. Questa ipotesi è uno dei punti più deboli di tutta la teoria darwiniana. Una semplice spiegazione al problema dell'ereditarietà, che peraltro si accorda perfettamente con le teorie evolutive della selezione naturale, si trovava nei risultati degli esperimenti di
Gregor Mendel, pubblicati nel 1865, sfortunatamente rimasti ignoti sia a Darwin che al resto del mondo per circa mezzo secolo.Il neodarwinismo e la genetica delle popolazioni
Le ricerche di Mendel, riscoperte all'inizio del Novecento, dimostrarono che l'ereditarietà è dovuta alla trasmissione di generazione in generazione di particelle discrete, oggi dette
geni, e non dalla miscela di molte sostanze presenti nell'organismo. La selezione naturale agisce, pertanto, sull'effetto provocato dalla presenza, assenza o variazione di un gene in un nuovo individuo. Come fu intuito inizialmente dal matematico britannico G.H. Hardy e dal ricercatore tedesco W. Weinberg, non vi è, infatti, una tendenza innata dei geni a scomparire da un pool genico; la loro scomparsa è dovuta a un insieme di forze selettive naturali che agisce sugli effetti prodotti da questi geni sull'individuo che li possiede, influenzandone la probabilità di sopravvivenza e di riproduzione. La versione moderna del darwinismo, chiamata neodarwinismo, è, cioè, basata su un'interpretazione probabilistica dei fenomeni evolutivi e di selezione naturale. Essa fu elaborata negli anni Venti e Trenta dai genetisti di popolazione R.A. Fisher, John B. Haldane e Sewall Wright e consolidata più tardi, negli anni Quaranta, in ciò che viene oggi chiamato neodarwinismo. La rivoluzione della biologia molecolare, che ha avuto inizio negli anni Cinquanta, non ha fatto che rafforzare e confermare con dati sperimentali gli assunti teorici di questi studiosi.La moderna teoria genetica della selezione naturale può essere riassunta come segue. I geni di una popolazione di animali o di piante che si riproducono per via sessuale costituiscono un pool genico. I geni in un certo senso competono tra loro nel pool genico, come le prime molecole autoreplicanti competevano nel brodo primordiale. I geni di ogni pool genico possono passare il loro tempo nei corpi degli individui che hanno contribuito a costruire, oppure viaggiando da un corpo all'altro per mezzo degli spermatozoi o dell'uovo, nel corso della riproduzione sessuale. Dal momento che la riproduzione sessuale è un sistema deputato a garantire il rimescolamento dei geni di una popolazione, in questo senso si può dire che l'habitat a lungo termine di un gene è in realtà il pool genico a cui esso appartiene.
Nel pool genico, ogni nuovo gene si origina a causa di una mutazione, un errore casuale nel processo di copiatura dei geni. Una volta formata una nuova variante, questa viene diffusa nel pool genico per rimescolamento sessuale. Le mutazioni sono, pertanto, la causa prima della variazione genetica, che viene distribuita e rimescolata nel pool genico grazie ai processi di riproduzione sessuale. Qualunque gene del pool genico esiste in numerose varianti, tutte dovute a mutazioni avvenute a un certo punto della storia evolutiva di quel gene. Tutte le varianti di uno stesso gene sono dette alleli e, a seconda della frequenza o rarità di ciascun allele all'interno del pool genico, si parla di frequenza allelica (si può, ad esempio, parlare di frequenza degli alleli che codificano per il colore azzurro o marrone degli occhi).
A livello genetico, l'evoluzione può essere definita come il processo con cui la frequenza allelica varia in un pool genico. La frequenza allelica può essere modificata a causa di fattori quali: la mortalità e l'emigrazione; la riproduzione e l'immigrazione; il caso o deriva genetica; la mutazione.Consideriamo, ad esempio, gli alleli responsabili della lunghezza delle ali in una popolazione di
moscerini della frutta: se una popolazione possiede alleli che producono ali più lunghe e un'altra ali più corte, questa differenza di caratteri può riflettersi in tassi di mortalità diversi, oppure nella differente capacità di volare che permette all'una, ma non all'altra, di emigrare in un altro areale. Tutti questi fenomeni, guidati da forze selettive, alla fine producono una variazione delle frequenze alleliche nel pool genico. Gli altri due fattori fanno, invece, variare le frequenze in modo più diretto; la deriva genetica è quella parte di variazione delle frequenze alleliche dovuta al caso, mentre le mutazioni di un allele in un altro sono un evento raro e quindi non influiscono molto sulle variazioni di frequenza allelica.L'origine delle specie e l'evoluzione della diversità
L'evoluzione porta alla divergenza e alla diversità delle specie. Sottoposte a pressione selettiva, tra queste varianti vengono, poi, selezionate quelle che sono dotate di maggior valore adattativo. In questo modo, da un singolo primo antenato, nel corso della storia si sono evolute molte centinaia di milioni di specie diverse. Il processo con cui da una specie si originano due nuove specie è detto speciazione. La divergenza tra le specie si riflette nella separazione delle unità tassonomiche (generi, famiglie, ordini, classi
ecc.).Uno dei fattori che spesso contribuiscono ai processi di speciazione è l'isolamento geografico: una specie viene accidentalmente divisa in due popolazioni separate da barriere geografiche. L'isolamento può avvenire negli habitat più disparati: si può trattare di una vera e propria isola in mezzo al mare, ma anche di un lago separato da altre acque dolci, oppure di un'isola di vegetazione nel deserto (oasi); perfino un albero in un campo può essere un fattore di isolamento sufficiente per qualcuno dei suoi piccoli abitanti. L'isolamento geografico comporta, infatti, l'assenza di flusso genico, causa della mancanza di contaminazione sessuale tra i diversi pool genici delle popolazioni separate. In queste condizioni, a causa delle differenti pressioni selettive o di variazioni casuali nei due areali, le frequenze alleliche nei pool possono cambiare. Quando la divergenza genica ha raggiunto un certo punto critico, le due sottopopolazioni, anche se si rincontrassero, avrebbero accumulato differenze tali per cui non sarebbero più in grado di incrociarsi fra loro o di produrre prole fertile. Questo va contro la definizione di specie e, pertanto, le due popolazioni non sono più due gruppi separati, appartenenti alla stessa specie, bensì due specie autonome e indipendenti. Questa definizione "biologica" della specie non può essere valida per organismi che non si riproducono sessualmente. Non solo le barriere geografiche sono responsabili del blocco del flusso genico che alla fine conduce alla comparsa di nuove specie: esistono, infatti, isolamenti di tipo ecologico o comportamentale, che possono esercitare gli stessi effetti. Un esempio classico è quello di una popolazione di animali diurni che a un certo punto assume abitudini notturne: le scarse occasioni di incontro con gli altri membri della specie, rimasti diurni, può condurre alla separazione totale dei due gruppi in due specie differenti.
La coevoluzione
La vecchia idea neoplatonica della "grande catena della vita", con un organismo unicellulare al livello più basso e gli uomini poco sotto gli angeli, o l'immagine lamarckiana dell'evoluzione come di una scala in salita, per cui le forme di vita presenti sui gradini più bassi erano destinate a trasformarsi in quelle che si trovavano sui gradini più alti, hanno contribuito a comporre l'idea, errata, dell'evoluzione come di un processo che avviene in serie. Secondo il modello moderno di evoluzione le specie si evolvono, invece, in parallelo, come i rami di un albero. In questa prospettiva, un
insetto bene adattato alla vita moderna è evoluto tanto quanto un uomo o una pianta, anche se la sua evoluzione avviene su un ramo diverso.Il termine coevoluzione si riferisce all'evoluzione di adattamenti determinati dalle interazioni tra specie, ad esempio tra predatore e preda o tra ospite e parassita. Una prova di coevoluzione viene fornita dalla documentazione fossile che testimonia lo sviluppo contemporaneo delle ossa degli arti sia negli
erbivori che nei carnivori. Se, tuttavia, queste strutture si sono evolute nell'arco di qualche decina di milioni di anni a causa di una competizione di questo tipo, non si capisce perché il successo di un carnivoro predatore di oggi dovrebbe essere superiore a quello di 30 milioni di anni fa. Questo fenomeno è stato battezzato dall'evoluzionista Leigh van Valen come l'"effetto della Regina Rossa", dal personaggio di Lewis Carroll in Attraverso lo specchio, che racconta ad Alice come nel suo paese si debba correre il più velocemente possibile per stare fermi nello stesso posto.La teoria del neutralismo
La selezione naturale è la sola teoria conosciuta in grado di giustificare in modo scientifico l'esistenza in natura degli adattamenti. Questo, tuttavia, non significa che la selezione naturale sia la forza che guida tutta l'evoluzione, perché non tutti i cambiamenti evolutivi sono necessariamente adattativi.
A livello molecolare, in particolare, la maggior parte delle mutazioni che avvengono è silente, cioè non produce effetti visibili o comunque riscontrabili nell'organismo. Le mutazioni neutre equivalgono ai cambiamenti di corpo o di carattere tipografico, ad esempio dal Times al Garamond: il testo ha un aspetto diverso, ma il significato delle frasi scritte non cambia e la selezione darwiniana giudica i geni dalla loro espressione nell'organismo, cioè dal significato della frase. Benché in passato questa teoria sia stata considerata erroneamente antidarwiniana, essa in realtà sostiene soltanto che la selezione naturale, con la sua azione sull'effetto di un gene piuttosto che non direttamente sul gene stesso, agisce solo su quella bassa percentuale di mutazioni genetiche non neutrali, in grado di produrre alterazioni.Il gradualismo e la teoria degli equilibri punteggiati
La teoria del gradualismo sostiene che il processo di speciazione avviene per l'accumulo progressivo di variazioni che insorgono nel corso di molti milioni di anni. Si tratta di un'ipotesi storica, che fino a non molto tempo fa veniva condivisa da quasi tutti gli studiosi dell'evoluzione. Più recente è, invece, la teoria degli equilibri punteggiati, che si oppone al gradualismo, in quanto propone un modello evolutivo a salti; in altre parole, secondo questa ipotesi l'evoluzione delle specie sarebbe caratterizzata da lunghi periodi di equilibrio, interrotti da discreti e improvvisi picchi di variazione. Tra queste due scuole di pensiero, entrambe neodarwiniste, è in corso un intenso dibattito.
Quanto è veloce l'evoluzione?
Dal momento che le mutazioni su cui opera indirettamente la selezione naturale insorgono casualmente, non ci sono regole sulla durata dei processi evolutivi: ogni caso può avere una durata differente. Esistono, ad esempio, fossili viventi come i celacanti che sono rimasti pressoché invariati da molti milioni di anni fa sino ai giorni nostri; in altri casi, l'isolamento geografico di alcune popolazioni per qualche migliaio di anni può essere stato sufficiente a provocare la comparsa di nuove specie.
Selezione in senso lato
Il concetto di selezione naturale può essere esteso in due direzioni: la selezione di parentela e la selezione sessuale. Per selezione di parentela si intende l'evoluzione di una caratteristica che può non essere vantaggiosa per l'individuo che la porta, ma lo è certamente per il suo nucleo familiare. Un esempio è costituito dall'evoluzione delle femmine sterili nelle comunità di insetti sociali come le api.
La selezione sessuale comporta, invece, l'evoluzione di caratteri che possono influenzare la scelta del partner. Esempi sono i rituali di corteggiamento, le dimensioni corporee o gli abbellimenti in grado di attrarre il partner. Darwin era colpito dal fatto che le qualità che attraevano sessualmente erano spesso l'opposto delle qualità che portavano alla sopravvivenza dell'individuo. Ad esempio, le code vistose e ingombranti degli
uccelli del paradiso sono d'impedimento al volo e, oltre alle femmine, possono attrarre anche i predatori. Permettendoci un finalismo, si può dire che lo scopo è quello di aumentare le probabilità di trasmettere il proprio patrimonio genetico alla generazione successiva e, quindi, questi adattamenti conferiscono a chi li porta un vantaggio superiore ai potenziali svantaggi.La selezione artificiale è un processo di modificazione delle caratteristiche delle specie, operato dall'uomo fin dall'antichità. Su scala ridotta e in tempi molto più rapidi, essa mima quello che accade in natura, con la differenza che qui la pressione selettiva viene operata in modo artificiale dall'uomo, in base alle sue esigenze, sui prodotti di incroci controllati. In questo modo sono state selezionate le innumerevoli varietà di piante coltivate o di razze di animali domestici e da allevamento che ci circondano.
Evoluzione divergente ed evoluzione convergente
L'evoluzione divergente è un processo di variazione di un carattere, originariamente comune, in più direzioni. Un esempio è l'arto primitivo comune ad alcuni vertebrati, che si è differenziato in strutture diverse, sia dal punto di vista anatomico che funzionale, diventando, nei diversi casi, il braccio degli uomini, l'ala degli uccelli o la zampa delle rane. Queste strutture sono dette omologhe. Per evoluzione convergente si intende, invece, il fenomeno opposto: lo sviluppo, cioè, di strutture simili dal punto di vista funzionale, ma a partire da strutture non affini dal punto di vista evolutivo. Queste strutture vengono dette analoghe e un esempio è rappresentato dall'occhio dei molluschi e dei mammiferi.